La sanzione dovuta per la violazione di infedele dichiarazione assorbe quella relativa al conseguente omesso versamento dell’imposta, in quanto la dichiarazione infedele si concretizza nella indicazione ad opera del contribuente di un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta e il mancato pagamento dell’imposta ne costituisce diretta conseguenza. Pertanto, se il contribuente dichiara un imponibile inferiore a quello effettivo, è irrogabile la sola sanzione da dichiarazione infedele. Queste le conclusioni contenute nell’Ordinanza n. 35066 del 29 novembre 2022 della Corte di Cassazione.
In tema di violazioni tributarie, la sanzione di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 punisce la “dichiarazione infedele“, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione un importo inferiore a quello dovuto, mentre quella di cui all’art. 13 dello stesso d.lgs. punisce il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella dichiarazione, senza che rilevi al riguardo la loro indicazione nella contabilità/dichiarazione.
La fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 copre sia la violazione formale, sia il conseguente ed inevitabile mancato pagamento dell’imposta dovuta, con conseguente assorbimento della sanzione meno grave di cui all’art. 13 del d.lgs. 471.
La sanzione più grave prevista per la dichiarazione infedele assorbe quindi anche quella per l’omesso/ritardato versamento dell’imposta dovuta. Infatti, mentre la dichiarazione infedele si concretizza nell’indicazione in dichiarazione di un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, l’omesso versamento sanziona la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione. È illegittima l’applicazione della doppia sanzione.
A fornire questo importante chiarimento è la Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 35066/2022 che segue lo stesso orientamento già visto con la Sentenza n. 483, depositata l’11 gennaio 2022 e con la Sentenza n. 27693 del 2020.
Dello stesso tenore anche la giurisprudenza di merito (si cita Corte di Giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, Sez. I – Sentenza 250 del 10/3/2023) che ritiene estendibile l'orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, seppur dedotta in materia di IVA, anche all'IMU.
Si ricorda che l’art. 5 del D.Lgs. n.471/1997, inserito nel titolo primo dedicato alle violazioni in materia di imposte dirette ed IVA, sanziona il comportamento del contribuente che abbia omesso di indicare un maggior reddito imponibile (e di conseguenza necessariamente non versato la relativa imposta) con l’irrogazione della più grave sanzione prevista per l’omessa/infedele dichiarazione. Trattandosi di mancata dichiarazione di un determinato imponibile, la condotta illecita ingloba logicamente in sé il mancato versamento del tributo, risultando strettamente consequenziale al primo segmento (mancato inserimento in dichiarazione) il secondo, consistente nell’omesso versamento della relativa imposta. Con la conseguenza che la violazione espressiva di un maggior disvalore (presentazione di dichiarazione infedele e conseguente mancato pagamento del tributo) viene punita dal legislatore con una sanzione più grave rispetto a quella connotata da minore pericolosità (omesso versamento di un tributo).
Ne deriva che la pretesa da parte dell’ente impositore di cumulare la sanzione per infedele dichiarazione e quella per omesso versamento appare priva di fondamento in quanto contraria alla ratio delle due disposizioni conseguente un’interpretazione sistematica di tale provvedimento come del tutto correttamente rilevato dal giudice di legittimità nelle pronunce citate.