Con il Decreto Legislativo del 12 gennaio 2019, n. 14, è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (CCII).
Nell’ottica della elaborazione di una procedura che sostituisse quella del fallimento, pur mantenendone le caratteristiche più importanti, è stata introdotta la liquidazione giudiziale, cui possono essere sottoposti anche beni immobili normalmente assoggettabili all’Imposta municipale propria (IMU).
Vediamo come deve comportarsi l'Ente locale per far valere il diritto di credito maturato nel periodo antecedente la dichiarazione di inizio della procedura.
Il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza si ispira ai principi introdotti dalla Legge Delega n. 155/2017 e dalla Direttiva UE 2019/1023, entrambe proiettate a realizzare la riorganizzazione e lo snellimento delle procedure concorsuali, fra cui quella della liquidazione giudiziale.
L’introduzione del nuovo Codice, tuttavia, non ha determinato l’abrogazione delle norme disciplinanti la procedura fallimentare, con la conseguenza che la giurisprudenza formatasi in merito nel corso del tempo e le norme della Legge Fallimentare (R.D. 267/42) sono ancora oggi applicabili, con la precisazione che, mentre le procedure avviate prima dell’entrata in vigore del Codice sono disciplinate secondo l’applicazione integrale della precedente disciplina, quelle avviate dopo il 15 luglio 2022 sono interamente governate dalle disposizioni del nuovo Codice.
Di particolare interesse è la disciplina degli adempimenti di natura fiscale riferibili alla figura del curatore.
Tra questi, per quanto di interesse, emerge in particolar modo l’obbligo dichiarativo IMU (che come stabilito dalla Corte di Cassazione, vale solo per quel che concerne la liquidazione giudiziale) in base al quale il curatore è tenuto a presentare all’Ente locale la dichiarazione attestante l’avvio della procedura, in luogo della società debitrice che vi è sottoposta.
A norma dell’art. 200 C.C.I.I., il curatore è tenuto “senza indugio” a informare tutti i creditori (di cui è a conoscenza sulla base della documentazione in suo possesso e delle informazioni raccolte) dell’apertura della liquidazione giudiziale dell’impresa insolvente, dell’udienza di verifica dello stato passivo e del fatto che possono provvedere, entro il termine perentorio di trenta giorni prima della predetta udienza, ad inoltrare le proprie domande di insinuazione.
Con la medesima comunicazione (a mezzo raccomandata a/r o a mezzo PEC) il curatore deve informare i creditori dell’indirizzo di posta elettronica certificata assegnata alla procedura presso cui trasmettere le citate domande. I creditori sono quindi legittimati a presentare domanda di ammissione al passivo con ricorso da inoltrare al curatore presso il proprio indirizzo PEC, personalmente, oppure, nel caso in cui siano assistiti da un legale, dalla PEC di quest’ultimo, dotato di procura.
Per quanto riguarda gli adempimenti dell’Ente locale, al fine di far valere il diritto di credito per l'imposta IMU maturata sugli immobili compresi nella procedura nel periodo antecedente la dichiarazione di apertura della liquidazione, l'avviso di accertamento dovrà essere notificato, oltre che al contribuente, anche al curatore; la mancata notifica nei confronti dell’uno o dell’altro, infatti, può inficiare l'efficacia del credito all’interno della procedura concorsuale:
- in caso di mancata notifica al curatore, il credito non potrà essere fatto valere all’interno della procedura concorsuale;
- In caso di mancata notifica al contribuente, non sarà più possibile opporre l’avviso di accertamento e tentare la riscossione coattiva qualora lo stesso torni in bonis al termine della procedura.
Le domande di ammissione al passivo inoltrate al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza di verifica del passivo, e non oltre il termine di sei mesi (prorogabile dal Tribunale in occasione della dichiarazione di apertura della liquidazione in dodici mesi in caso di “particolare complessità” della procedura) dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, sono considerate “tardive”.
La procedura di accertamento delle domande tardive segue lo stesso iter di quelle presentate tempestivamente, con l'unica differenza che, in questi casi, il Giudice Delegato deve fissare una apposita udienza per la relativa verifica entro quattro mesi.
Nel caso in cui la domanda di ammissione al passivo sia inoltrata oltre il termine di sei mesi dal deposito del decreto di esecutività e, comunque, “fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo” (art. 208, c. 3, C.C.I.I.), sarà considerata “ultratardiva” e risulterà ammissibile solo ove il ricorrente darà prova che il ritardo non sia a lui imputabile.
In ogni caso, dovrà essere presentata entro e non oltre il termine di 60 giorni dalla cessazione della causa che ne ha impedito il deposito tempestivo.
Per quanto concerne l'imposta maturata in costanza di procedura, al pari di quanto previsto nella disciplina fallimentare [l'art. 222, comma 2, C.C.I., nel ripetere le disposizioni dell'art. 111-bis, comma 2, L. fall., aggiunge “salvo il disposto dell’articolo 223” (corrispondente all'art. 111-ter L. fall.), rendendo indiscutibile che i creditori ipotecari e pignoratizi sono gravati da tutte le spese prededucibili specifiche, oltre che da un’aliquota di quelle generali], l’IMU maturata dopo l'apertura della liquidazione giudiziale (alla stregua dell'imposta maturata dopo la dichiarazione di fallimento) rientra tra le spese sostenute per la conservazione, amministrazione e liquidazione dell’immobile ed integra una “uscita di carattere specifico” che grava in prededuzione su quanto ricavato dalla liquidazione dell’immobile, anche se oggetto di ipoteca.
Si ricorda che i presupposti della liquidazione giudiziale sono:
- lo stato di insolvenza, inteso come condizione per la quale il debitore non sia in grado di soddisfare le obbligazioni di cui è titolare regolarmente, sia che si tratti di un mero stato di illiquidità che nel caso di particolare divergenza tra attività e passività;
- la qualifica di imprenditore commerciale, tranne che nel caso in cui si possiedano i requisiti definiti dall’art. 2, comma 1, lett. d), del Codice che qualificherebbero l’impresa come “minore”.
Dal novero di applicazione della procedura sono infatti escluse tutte quelle imprese caratterizzate dalla contestuale sussistenza in loro capo dei seguenti elementi:
- un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell’attività se di durata inferiore;
- ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell’attività se di durata inferiore;
- un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.